“… la vita beata, lontana dalla peregrinazione del nascere, che gli iniziati di Dioniso e Core presso Orfeo si vantavano di raggiungere: desistere dal ciclo, prender fiato dalla miseria umana.” (Proclo, Commento al Timeo, 42 c-d, da Giorgio Colli, La sapienza greca, I, 275)
L’esistenza è tempo. E questo è un concatenarsi di durate, all’interno delle quali tutto è un divenire dal prima al dopo, un sovrapporsi di movimenti. L’istante non esiste, è un’astrazione.
Così gira la macina senza fine, né principio. Eventi seguono ad eventi, destini si incrociano a destini apparentemente senza nesso alcuno, fortune si alternano a sfortune con l’arbitrarietà del vivere e morire, della sofferenza e della gioia. Senza posa, sotto il peso della pietra che infinitamente raggiunge e lascia la sua meta, diviene il grano, frutto del passato, farina e nutrimento del futuro.
Sotto la macina del tempo, sotto questo cielo rotante, tutto ha il suo momento. C’è un tempo per nascere ed un tempo per morire, un tempo per piantare ed un tempo per sradicare. Un tempo per uccidere ed un tempo per curare, un tempo per demolire ed un tempo per costruire. C’è un tempo per piangere ed un tempo per ridere, un tempo per portare il lutto ed un tempo per danzare. C’è un tempo per gettare sassi ed un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare gli altri, un tempo per restare in disparte. C’è un tempo per trattenere ed un tempo per lasciare andare. Un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere ed un tempo per parlare. Un tempo per amare, un tempo per odiare. Un tempo per lottare. Ed un tempo per la pace. (Qoelet 3,1-8)
Vorticosa ruota la girandola, preda del vento. Indifferente sgretola la macina. E la spada del re-scimmia, che la nostra sorte s’illude di decidere, è poco più di un giocattolo.
Questo il mistero del tempo, ridicolo e drammatico insieme. Passato e futuro non esistono più e non esistono ancora. E, tuttavia, si può agire nel presente solo in funzione di essi, come frutto del passato, come piano per il futuro. Il presente così è eppure non è, servo di un signore assente, ma temuto al contempo. Il tempo lo vincola a sé, trascinandolo su orbite oscure e celesti. Il divenire inarrestabile del mondo, l’incontrollata sorte che ci travolge ed occupa come il cattivo tempo i marinai, contrasta con il nostro più profondo bisogno di pace.
“La Via è vuota, ma quando se ne usa, essa non si esaurisce. È così profonda da precedere tutte le cose. Essa smussa le rocce aguzze, risolve tutti i problemi, diffonde la propria luce, unifica il mondo nella sua profondità. Sembra propio che vi sia in essa qualcosa ed io non so da dove sia venuta. Si direbbe che essa esista da prima di ogni altra cosa.” (Lao Tse, Tao Te Ching, 4)
Senza continuamente lasciarti distrarre dal moto della ruota, senza desiderare ciò che ruota in opposizione a te, irraggiungibile, dall’altro lato della ruota, inizia a guardare e riflettere sul centro della ruota. Il mozzo, nella sua umiltà, nasconde in sè un passaggio. Procedendo verso di lui sempre più lentamente, rinuncia finalmente alla fretta, rinuncia a tutti i movimenti superflui. Seduto al centro, trova la quiete. E permani.